Replica al corriere della sera su accorpamento obbligatorio dei comuni

Ci ha fatto piacere che il Corriere della Sera si sia interessato alla protesta contro l’accorpamento coatto dei Comuni portata avanti da Asmel, l’associazione italiana per la modernizzazione degli Enti locali («I piccoli sindaci e la rivolta in stile Zalone», Corriere del 3 maggio). Si tratta di una battaglia che accomuna 7954 piccoli e medi comuni italiani dove risiede il 77% della popolazione e, al di là delle forme più colorite della protesta, raccontate nel corsivo di Marco Demarco, al centro del dibattito politico nazionale abbiamo voluto portare il valore delle autonomie comunali, che garantisce non solo risparmi (come dimostrano i dati Istat), ma soprattutto opportunità di sviluppo, grazie alla valorizzazione delle diversità e delle eccellenze dei singoli territori. L’accorpamento coatto dei comuni, ideato nel 2010 dall’allora ministro Calderoli, inizialmente limitato a quelli con meno di 5.000 abitanti, si è rivelato talmente impraticabile da non entrare mai in vigore subendo continue proroghe. L’ultima decisa dal governo Renzi al 31 dicembre 2016. Ora addirittura l’Anci rilancia l’accorpamento proponendolo per quasi tutti i comuni italiani, in modo da scendere (cito testualmente la loro ultima proposta) dagli attuali 8000 Comuni a 1500­1700 Unioni coatte, dimostrando ormai di fare l’interesse delle sole grandi città. Perché in Italia su 8.000 Comuni, solo 46 superano i 100 mila abitanti. Negli altri 7.954, la qualità della vita è generalmente superiore e il costo pro capite dei municipi è esattamente la metà di quello delle grandi città. E allora l’accorpamento coatto rischia di rivelarsi, non già per l’interesse dei piccoli Comuni ma per l’intero Paese, una riforma che sortirebbe esattamente l’effetto contrario rispetto alla razionalizzazione della spesa che dovrebbe ispirarla.

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