Con la lettera pubblicata lunedì sul Corriere, Yoram Gutgeld, Commissario alla spending review, si pone due domande e si dà due risposte, per meglio puntualizzare quanto sostenuto con la Relazione presentata la settimana scorsa. Se la Relazione era piena di affermazioni di principio e di propaganda, con la lettera, il commissario accetta anche di partecipare al dibattito, scegliendosi le critiche che definisce costruttive e dandosi delle risposte che meglio chiariscono il suo pensiero. Nulla di nulla sui numeri che dovrebbero supportarlo. Gutgeld insiste, ad esempio, nel vantare il dato centrale della Relazione “un risparmio complessivo
pari a 29,9 miliardi nel 2017”. Un’affermazione che lascia allibiti. Com’è possibile a metà 2017 consuntivare i risparmi che saranno conseguiti a fine anno? Si dirà che si tratta di dati riferiti al periodo 2014-2017 dunque in gran parte consolidati e destinati tra sei mesi ad essere modificati
semmai per qualche decimale. Peccato che i dati esposti in Relazione mostrano come il Commissario si sia limitato a sommare i risparmi ipotizzati al varo dei diversi provvedimenti di spesa varati dal 2014 ad oggi. Senza minimamente preoccuparsi di controllare quanti di questi risparmi attesi si siano tradotti in realtà.
Anche i dati su Consip lasciano esterrefatti. Si legge che, a fronte di una spesa effettiva di 6,2 miliardi, nel 2014, siano stati conseguiti risparmi per 3,1 miliardi. Il 50% esatto, ottimo risultato. Se vero. Peccato che la stessa Relazione sostiene che questi dati siano stati elaborati sulla base di una non meglio precisata “metodologia di calcolo sviluppata congiuntamente con ISTAT” e basata sulla differenza tra i prezzi unitari rilevati sul mercato e quelli ottenuti con le gare accentrate. Una
metodologia, però, che deve presentare qualche falla, perché i Comuni non si sono accorti di tanto risparmio e spesso hanno preferito fare da soli. Tanto da indurre ANAC, nel 2015, ad aprire un’indagine sugli affidamenti in violazione agli obblighi normativi in materia. Dal 2000 ad oggi, il termine Consip appare, infatti, 309 volte nella Gazzetta ufficiale nell’ambito di ben 63 provvedimenti. Il filo conduttore è: Io sono Consip e non avrai altra Consip al di fuori di me. L’indagine ANAC, comunque, si è conclusa senza condanne, anzi magnificando il comportamento virtuoso degli Enti indagati e concludendo che le offerte Consip risultano in molti casi (almeno tutti quelli presi in considerazione nel presente campione) migliorabili dal punto di vista economico a parità di prestazioni. ANAC sottolinea correttamente che le gare Consip, possono determinare, comunque, un utile benchmark per gli Enti.

Resta, dunque un mistero appurare come e se sia giunti ad un risparmio complessivo del 50%. Si potrebbe dedurre che tutto dipenda dal vizietto di Consip, che a volte, per definire gli importi unitari posti a base di gara, moltiplica per due il valore aggiudicato in quelle precedenti, imponendo cospicui ribassi ad alto impatto mediatico. Ma allora non si capisce il ruolo di ISTAT. Sul fronte dei Comuni, poi, non ci si cura nemmeno di presentare numeri improbabili. Solo affermazioni apodittiche. La Relazione indica, infatti, la strada delle “aggregazioni e accorpamenti
volti a raggiungere una sufficiente massa critica”. In particolare vengono vantati gli “Incentivi alle fusioni dei piccoli comuni introdotti nel 2014, che hanno finora indotto 120 comuni a fondersi”. Incredibilmente, manca però ogni riferimento non solo all’entità dei risparmi conseguiti, ma anche alla spesa sostenuta per gli incentivi. Eppure, almeno quest’ultima, dovrebbe essere nota perché gli incentivi sono ormai maturati negli anni dal 2014 al 2016. Ancora una volta siamo in presenza di affermazioni ideologiche e di propaganda senza il supporto
di un minimo riscontro nella realtà. ASMEL, da anni mostra tabelle e dati desunti da ISTAT e dalla banca dati SIOPE del Ministero delle finanze, che dimostrano senza ombra di dubbi come gli accorpamenti imposti o subiti, producono costi e non risparmi. Senza riuscire a scalfire le granitiche certezze della politica e degli apparati
romani. C’è voluto un Tribunale per asseverare le nostre tesi. Il TAR LAZIO ha recentemente trasmesso alla Consulta gli atti del ricorso presentato per veder affermata l’incostituzionalità delle norme sull’accorpamento coatto dei piccoli Comuni. Il Tribunale ha ritenuto non manifestamente infondate le 11 lesioni ai principi costituzionali da noi denunciati. In primis, il principio della ragionevolezza delle leggi. Quella da noi contestata, aveva infatti a titolo la “spending rewiev”.
Invece, ha prodotto finora solo maggiori costi. Tra l’altro, per confutare le tesi di Gutgeld, basta esporre i dati sul Comune di Caggiano, che con 2803 anime in provincia di Salerno, spende complessivamente in un anno 612 euro ad abitante, il
48% in meno dei 1167 euro pro capite spesi a Napoli, dove la “massa critica” è indiscutibile. Ma offre servizi decisamente migliori. Sfiora il 70% con la raccolta differenziata, a fronte del misero 30% di Napoli, spendendo il 74% in meno, 63 euro per cittadino, contro i 240 euro spesi a Napoli. Per la mensa scolastica spende 0,7
euro ad abitante, il 97% in meno dei quasi 18 euro spesi a Napoli. In compenso agli scolari viene offerto cibo “a metro zero”, grazie alla formula del baratto che il Comune offre alle mamme che consegnano il cibo raccolto nel proprio orto. I bambini napoletani debbono accontentarsi invece delle mense industrializzate. Il mese scorso, la refezione è stata sospesa nelle scuole dove l’Asl ha
rivelato la presenza di escrementi nel cibo. Napoli spende, poi, il 51% in più per il personale, mettendo a confronto solo i dipendenti diretti. Conteggiando anche quelli delle municipalizzate napoletane, il costo andrebbe almeno
raddoppiato. Insomma, piccolo è bello. Altro che vantaggi dalla massa critica. I dati su Caggiano non rappresentano un caso isolato. In Italia i Comuni con meno di 100.000 abitanti, in cui vive il 75% degli italiani, sono generalmente virtuosi, tanto che la spesa media pro capite ammonta a quasi 750 euro, meno della metà di quanto si spende in media nei grandi agglomerati urbani. Il che si spiega con il maggior “controllo sociale” esercitato dai cittadini e dimostra l’inconsistenza della tesi sulla massa critica teorizzata da Gutgeld. I Sindaci, rappresentano imprenditori del territorio che amministrano. Occorre puntare alla messa in rete dei Comuni, come si fa per le imprese, valorizzando una cooperazione intercomunale basata sull’efficientamento dei servizi, senza intaccare minimamente le potestà e le funzioni in capo agli amministratori comunali Esattamente la regola seguita da ASMEL in tanti settori, dalla digitalizzazione alla trasparenza, dal risparmio energetico alla formazione ed assistenza. Non ultima la centralizzazione della committenza, avviata quattro anni fa con la Centrale ASMEL Consortile e che oggi rappresenta l’unica realtà di rilievo nazionale, diretta espressione dei Comuni.

Circolare ai soci del 26_6_2017

Il Preidente, Giovanni Caggianio 

Il Segretario Generale, Francesco Pinto

Spesso le migliori riforme nascono unendo gli elementi migliori di sistemi e modelli diversi.

E allora nel tentativo di accordo parlamentare sulla legge elettorale che guarda al sistema tedesco si potrebbe inserire un elemento che è una delle grandi risorse del sistema politico francese: la presenza in Parlamento dei

Sindaci, i rappresentanti e i veri conoscitori dei problemi ma anche delle risorse dei diversi territori del Paese. La proposta punta ad abolire le incompatibilità presenti nel nostro sistema che impediscono ai Sindaci di accedere al Parlamento ed è emersa nel corso dell' ultimo Forum degli Enti Locali, convocato da Asmel, la combattiva associazione nazionale di oltre 2.200 Comuni italiani che, a tutela del valore delle autonomie locali, è appena riuscita a portare dinnanzi alla Corte Costituzionale la legge che impone l' accorpamento obbligatorio dei Comuni. Le immagini, che hanno fatto il giro del mondo, in occasione dei recenti eventi sismici, hanno messo in luce soprattutto amministratori locali combattivi e capaci di rappresentare le reali esigenze delle popolazioni. Una classe dirigente radicata nel territorio e che si è affermata attraverso una selezione basata sul confronto e la competizione sui problemi reali

e non su vaghe affermazioni ideologiche. Tanto più capace, in quanto in grado di dare risposte e soluzioni a dispetto di una normativa intricata ed asfissiante che blocca o ritarda tutto. A livello centrale, invece, spesso le decisioni passano per politici o burocrati di professione, gente che non conosce il territorio e non è stata mai eletta, mentre gli eletti, ovvero i nominati, si accapigliano su questioni ideologiche o di principio. Il risultato è l' affermazione di un bigottismo normativo che rappresenta il principale freno alla crescita del sistema Italia. I «lacci e lacciuoli» delle norme e della burocrazia non imbrigliano più solo le realtà produttive ma anche le istituzioni, a partire da quelle più vicine ai cittadini, i Comuni. Con l' aggravante che nel sistema pubblico italiano si sono formati gomitoli talmente spessi da ostacolare la trasparenza e trasformarsi in un micidiale veicolo di corruzione, come ha evidenziato di recente anche il presidente dell' Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone, che ha indicato nelle pastoie dell' iper regolazione «la principale causa della diffusione della corruzione». In questo quadro la riforma elettorale, attualmente al centro del dibattito politico, deve essere un' occasione da non perdere per puntare a valorizzare le vere energie vitali del Paese. La nuova legge elettorale deve eliminare ogni incompatibilità tra la carica di Sindaco e quella di parlamentare. Nel sistema politico italiano, è praticamente vietato entrare in Parlamento se si è sindaci. Nel sistema francese, ove è stato appena nominato premier il Sindaco di Le Havre, Edouard Philippe, è vero, invece, esattamente il contrario. In Francia è difficile assumere incarichi nazionali se allo stesso tempo non si è anche esponenti delle collettività locali, che immediatamente percepiscono il proprio rappresentante come rappresentante del territorio e contemporaneamente dello Stato. Il grave deficit di rappresentatività del nostro Parlamento che ha sollevato il vento forte dell' antipolitica si combatte portando in Parlamento non i portaborse ma i rappresentanti dei territori, che si sono affermati con una selezione basata sul confronto politico sulle reali esigenze dei cittadini e non sono stati nominati attraverso un click del mouse di un computer o a seguito della cooptazione emersa da una riunione di partito.

Una selezione tanto più severa in quanto basata sulla capacità di erogare servizi e risposte a dispetto di una normativa spesso farisaica ed inconcludente. Chi è riuscito ad amministrare, nonostante i veti incrociati di una normativa tanto ingarbugliata, è certamente portatore delle istanze e delle competenze necessarie per portare semplificazione e concretezza nella nostra normativa e nella macchina di governo. Proviamo finalmente ad affidare il Paese a chi ha già dimostrato di avere esperienza e capacità non solo di amministrare, ma soprattutto di decidere e di risolvere problemi.

Francesco Pinto - Segretario Generale ASMEL

( tratto da " Il Mattino" del 31 maggio 2017)

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Caro Sindaco,

M5S accusa ANCI, la principale Associazione dei Comuni italiani, di essere divenuta una succursale del PD. Si tratta di un’accusa ingenerosa ed ingiusta.

In questi ultimi anni, ANCI si è piuttosto caratterizzata come succursale dei diversi Governi che si sono succeduti, a prescindere dal colore politico.

Solo così si spiega l’acquiescenza a una lunga stagione di tagli e, cosa ancora più grave, alle scelte sugli accorpamenti coatti, attraverso processi di fusione o unione obbligatoria di tutti i Comuni non capoluogo.

Su questo ultimo fronte, però, la “cinghia di trasmissione” finora non ha funzionato per la fiera opposizione di ASMEL ed ANPCI, l’Associazione dei piccoli Comuni.

Ma la battaglia è solo rinviata a dopo il referendum, in perfetto accordo tra Governo ed ANCI. Accordo confermato nel recente incontro in Via dei Prefetti, sede dell’Anci, alla presenza del Ministro Costa e dei Sottosegretari interessati. L’obbligo di accorpamento non sarà più legato al numero degli abitanti, ma esteso a tutti i Comuni non capoluogo attraverso “ambiti ottimali” individuati dalle Regioni. Sono previste una serie di misure a sostegno della manovra. Incentivi a chi collabora e tagli a chi fa resistenza, con il Commissariamento come prospettiva finale per i più riottosi.

Dalla fine della prima Repubblica ad oggi, si sono succeduti alla Presidenza dell’ANCI solo Sindaci di Comuni capoluogo (Scarica QUI' la tabella), nonostante l’Associazione sostenga di rappresentare tutti i Comuni anche i più piccoli. Dopo le dimissioni di Fassino, perché non individuare, come successore, un Sindaco di un Comune non capoluogo?

Nei Comuni piccoli e medi si impara presto a governare le macchine burocratiche , perché “il controllo sociale” dei cittadini è più forte e stringente. Difficilmente, dunque, il nuovo Presidente si farà imbeccare dall’apparato centrale ANCI, un autentico centro di potere, consolidatosi grazie alla presenza “istituzionale” nella Conferenza Stato Città, un’Istituzione, sconosciuta ai più, all’interno della quale passano tutte le scelte che riguardano gli Enti Locali.

ANCI deve decidere “cosa fare da grande”: l’Istituzione o l’Associazione. Nel primo caso, deve smettere di chiedere contributi ai Comuni e farsi sostenere dallo Stato. Nel secondo caso, deve essere capace di reggersi con i soli contributi dei Soci. Oggi, invece, fa le due cose insieme.

Se ANCI riprenderà coscienza del proprio ruolo e ritornerà ad atteggiarsi come Associazione, si aprirà una nuova stagione di protagonismo dei Sindaci e il Governo prenderà atto che i Comuni rappresentano una risorsa e non un problema. Troverà al suo fianco anche le altre Associazioni di Enti Locali. Perché uniti si vince.

I Comuni Italiani, una risorsa non un problema è proprio il titolo del Manifesto approvato all’unanimità nella recente Assemblea ASMEL (Scarica QUI' il manifesto). Contiene tra l’altro, nel caso di affermazione della riforma costituzionale, la proposta di disegnare Collegi elettorali a misura Comuni piccoli e medi.

Per affiancare ai Sindaci dei Comuni capoluogo, di fatto già previsti, i rappresentanti degli altri territori, dove vive il 70% degli Italiani.

Francesco Pinto, Segretario generale ASMEL

Chiuse le urne dei ballottaggi, è cominciato l’iter di insediamento del primo cittadino e della nomina della giunta. Il Sindaco entra in carica con la proclamazione effettuata dall’ufficio elettorale centrale nei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti e dalla prima sezione elettorale negli altri Comuni. Nei giorni immediatamente successivi all’investitura popolare i neosindaci hanno dieci adempimenti urgenti da fare che vanno dalla convocazione degli eletti alla nomina della commissione elettorale, ecco lo schema degli atti da adottare a cura dell’avv. Ida Tascone, consulente legale ASMEL.

Il decalogo per i neo sindaci

La Redazione - Asmelblog

Sempre più numerosi i consigli comunali convocati in tutta Italia per far proprio il Manifesto “I Comuni Italiani una risorsa e non un problema”, approvato all’unanimità nel corso della recente Assemblea dei Comuni ASMEL. Il Manifesto, condiviso con ANPCI, reclama una più ampia presenza nel nuovo Senato delle Autonomie incidendo sulla legge prevista nella nuova Costituzione per l’elezione dei Senatori al fine di ottenere una rappresentanza proporzionale dei Comuni piccoli e medi. Tra i primi a deliberare i Comuni di Trecate (No), Basiglio (Mi), Gangi (Pa), Neviano (Le), San Calogero (VV) Castagnaro (Vr), Oliveto Citra (Sa), Montefiore Conca (Rn), Celenza Valfortore (Fg), Pesco Costanzo (Aq), Camporotondo di Fiastrone (Mc), Calvera (Pz). In base alla nuova previsione costituzionale, il nuovo Senato, ente di raccordo tra Stato e istituzioni locali, sarà formato da consiglieri regionali e dai 21 Sindaci delle grandi città. È del tutto evidente, che se il meccanismo di elezione dei Senatori-consiglieri non verrà adeguato il “posto unico” per i Sindaci di un’intera regione rischia di schiacciare la rappresentatività territoriale a vantaggio della Città metropolitana. Un ritorno al vecchio centralismo, che non è in grado di realizzare appieno il Senato della Repubblica “rappresentativo delle istituzioni territoriali” elemento caratterizzante la stessa modifica complessiva della Costituzione oggetto di revisione.

Data la campagna referendaria avviata, dobbiamo concentrare da subito le nostre energie, nel modo più unitario e coinvolgente possibile. Accompagniamo perciò ogni iniziativa che possa svolgersi in queste giornate con l’approvazione del Manifesto.

Per informazioni anche sugli incontri territoriali in corso contattare la segreteria dell’associazione al numero verde 800165654 o scrivere alla mail posta@asmel.eu.

 

La tornata elettorale delle amministrative del 5 giugno ha portato al rinnovo dei Sindaci e dei Consigli comunali 366 Comuni della Rete ASMEL. Un rinnovo importante delle Amministrazioni locali che ha coinvolto il 17% dei Comuni italiani. Il Segretario generale di ASMEL ha pertanto inviato a tutti i neo-eletti Sindaci una nota con la quale ha espresso ‹‹i migliori auguri per il successo conseguito e per l’impegno futuro che certamente inciderà a vantaggio della Comunità e dell’intero sistema istituzionale. Un lavoro non facile, in un momento in cui gli enti locali svolgono con difficoltà il loro ruolo di tutela delle comunità e dei territori e di promotori dello sviluppo››.

L’occasione ha consentito tra l’altro di sottolineare l’importanza della mobilitazione promossa dai Comuni italiani con decine di consigli immediatamente convocati in tutta Italia per far proprio il Manifesto “I Comuni Italiani una risorsa e non un problema”, approvato all’unanimità nel corso dell’Assemblea dei Comuni ASMEL del 2 maggio scorso. Il Manifesto, condiviso con ANPCI, reclama una più ampia presenza nel nuovo Senato delle Autonomie incidendo sulla legge prevista nella nuova Costituzione per l’elezione dei Senatori al fine di ottenere una rappresentanza proporzionale dei Comuni piccoli e medi che possa affiancarsi ai 21 Sindaci dei Comuni capoluogo di Regione, già previsti.

Il Manifesto I Comuni Italiani una risorsa e non un problema

 

Oltre 500 amministratori e funzionari locali presenti al Forum Asmel 2016 COMUNI ITALIANI UNA RISORSA NON UN PROBLEMA del 2 maggio 2016 hanno approvato il Manifesto a sostegno delle ragioni dell’integrità e dell’autonomia dei Comuni medi e piccoli. Il Manifesto, condiviso con ANPCI reclama anche una presenza diretta dei Sindaci a Roma senza deleghe a nessuno. Se sarà varato il Senato delle Autonomie, si tratterà di un’occasione unica perché essi possano divenire protagonisti nel varo delle leggi sulle autonomie locali. Abituati a misurarsi direttamente con i problemi dei territori, innesterebbero nella legislazione l’esperienza del “concreto amministrare”. Occorre incidere sulla legge prevista nella nuova Costituzione per l’elezione dei Senatori e ottenere una vasta rappresentanza proporzionale dei Comuni piccoli e medi che possa affiancarsi ai 21 Sindaci dei Comuni capoluogo di Regione, già previsti. Caro sindaco se lo condividi, ti chiediamo di predisporre una delibera di Giunta/Consiglio da trasmettere a Presidente di Camera e Senato oltre che al Presidente della Regione.

Qui il Manifesto I Comuni Italiani una risorsa e non un problema

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Forum COMUNI ITALIANI, UNA RISORSA NON UN PROBLEMA del 2 maggio: i Comuni non intendono subire in silenzio la campagna ANCI tesa a passare da 8000 Comuni a 1500-1700 Unioni coatte! È chiaro a tutti che ormai ANCI si è ridotta alla rappresentanza dei grandi agglomerati urbani. Eppure sono solo 46 i Comuni con più di 100mila abitanti. Ne restano 7954 con meno di 100mila abitanti, dove vive il 77% degli italiani. La qualità della vita è generalmente superiore e soprattutto il costo pro capite dei loro municipi è la metà di quelli più grandi. Basta con una concezione burocratica e verticistica che assimila i Comuni a filiali delle Prefetture. Da accorpare per ottenere risparmi. Non solo si tratta di una bestemmia, ma dati ufficiali alla mano, i costi aumentano (v. Tabella su Fatto Quotidiano).

I fautori dell’accorpamento

Ci ha fatto piacere che il Corriere della Sera si sia interessato alla protesta contro l’accorpamento coatto dei Comuni portata avanti da Asmel, l’associazione italiana per la modernizzazione degli Enti locali («I piccoli sindaci e la rivolta in stile Zalone», Corriere del 3 maggio). Si tratta di una battaglia che accomuna 7954 piccoli e medi comuni italiani dove risiede il 77% della popolazione e, al di là delle forme più colorite della protesta, raccontate nel corsivo di Marco Demarco, al centro del dibattito politico nazionale abbiamo voluto portare il valore delle autonomie comunali, che garantisce non solo risparmi (come dimostrano i dati Istat), ma soprattutto opportunità di sviluppo, grazie alla valorizzazione delle diversità e delle eccellenze dei singoli territori. L’accorpamento coatto dei comuni, ideato nel 2010 dall’allora ministro Calderoli, inizialmente limitato a quelli con meno di 5.000 abitanti, si è rivelato talmente impraticabile da non entrare mai in vigore subendo continue proroghe. L’ultima decisa dal governo Renzi al 31 dicembre 2016. Ora addirittura l’Anci rilancia l’accorpamento proponendolo per quasi tutti i comuni italiani, in modo da scendere (cito testualmente la loro ultima proposta) dagli attuali 8000 Comuni a 1500­1700 Unioni coatte, dimostrando ormai di fare l’interesse delle sole grandi città. Perché in Italia su 8.000 Comuni, solo 46 superano i 100 mila abitanti. Negli altri 7.954, la qualità della vita è generalmente superiore e il costo pro capite dei municipi è esattamente la metà di quello delle grandi città. E allora l’accorpamento coatto rischia di rivelarsi, non già per l’interesse dei piccoli Comuni ma per l’intero Paese, una riforma che sortirebbe esattamente l’effetto contrario rispetto alla razionalizzazione della spesa che dovrebbe ispirarla.

Dal Nord Est trevigiano il sindaco leghista di Portobuffolè, Andrea Sebastiano Susana, sposa la battaglia di Asmel - qui la lettera aperta su Il Fatto Quotidiano - sottolineando come “le unioni forzate tra comuni porterebbero alla perdita dell’identità, della storia e della tradizioni delle diverse realtà locali che sono il valore aggiunto del nostro Paese”. Susana sostiene anche la proposta di Asmel di aumentare il numero di sindaci nel futuro Senato poiché “gli amministratori locali, da sempre in prima linea per combattere le battaglie degli abitanti, sarebbero i veri portavoce delle esigenze di coloro che rappresentano”. Bisognerebbe, infatti, a suo avviso, “favorire sempre più gli enti più vicini ai cittadini e non quelli più lontani”.

Al confine tra Puglia, Basilicata e Molise il sindaco del borgo foggiano di Accadia, Pasquale Murgante evidenzia come i dati diffusi da Asmel “mostrano quanto sia importante il controllo diretto della spesa nei piccoli comuni, nei quali il sindaco in prima persona segue le questioni economiche senza intermediazioni”. Anche per questo a suo giudizi accorpamenti forzati sarebbe improduttivi, oltre che “per importanti ragioni di conservazione delle specifiche identità culturali dei piccoli centri”. Proprio per il ruolo di rappresentanza diretta dei sindaci anche Murgante sposa la proposta di Asmel sul Senato delle Autonomie locali.

In Campania proprio tra i comuni di più spiccata vocazione turistico-culturale c’è unanime adesioni alle idee della lettera aperta di Asmel. Dalla costiera amalfitana il sindaco di Minori, Andrea Reale, spiega che “uno dei rischi dell’accorpamento coatto dei Comuni potrebbe essere la trasformazione dei piccoli centri in periferie disastrate dei Comuni principali, con una conseguente perdita dell’identità territoriale, culturale e geografica, ma anche della produttività economica”. Anche per Reale i dati prodotti Istat citati da ASMEL sono “la palmare dimostrazione di come il controllo amministrativo diretto dei sindaci dei piccoli comuni sia la migliore garanzia di una gestione più virtuosa della spesa pubblica”. Nella città natale di Ettore Scola, il comune irpino di Trevico, il sindaco Nicolino Rossi fa sapere che “l’identità locale e territoriale dei comuni di montagna sarebbe completamente snaturata da unioni forzose che non tengano conto di assonanze funzionali e morfologiche dei territori ma badino soltanto a dati numerici”. Dello stesso avviso il sindaco di Capua, Carmine Antropoli, che come gli altri due sindaci campani aderisce anche alla proposta di ASMEL di implementare il numero dei Sindaci nel Senato delle Autonomie perché “sono proprio i Sindaci la migliore garanzia per quella rappresentatività dei cittadini in Parlamento che negli ultimi anni è sempre più in crisi, provocando quella disaffezione dalla politica che oggi è sotto gli occhi di tutti”.

Clicca qui per leggere la lettera integrale di ASMEL