Il Commissario alla spending è un “compagno che sbaglia”, anzi persevera

Con la lettera pubblicata lunedì sul Corriere, Yoram Gutgeld, Commissario alla spending review, si pone due domande e si dà due risposte, per meglio puntualizzare quanto sostenuto con la Relazione presentata la settimana scorsa. Se la Relazione era piena di affermazioni di principio e di propaganda, con la lettera, il commissario accetta anche di partecipare al dibattito, scegliendosi le critiche che definisce costruttive e dandosi delle risposte che meglio chiariscono il suo pensiero. Nulla di nulla sui numeri che dovrebbero supportarlo. Gutgeld insiste, ad esempio, nel vantare il dato centrale della Relazione “un risparmio complessivo
pari a 29,9 miliardi nel 2017”. Un’affermazione che lascia allibiti. Com’è possibile a metà 2017 consuntivare i risparmi che saranno conseguiti a fine anno? Si dirà che si tratta di dati riferiti al periodo 2014-2017 dunque in gran parte consolidati e destinati tra sei mesi ad essere modificati
semmai per qualche decimale. Peccato che i dati esposti in Relazione mostrano come il Commissario si sia limitato a sommare i risparmi ipotizzati al varo dei diversi provvedimenti di spesa varati dal 2014 ad oggi. Senza minimamente preoccuparsi di controllare quanti di questi risparmi attesi si siano tradotti in realtà.
Anche i dati su Consip lasciano esterrefatti. Si legge che, a fronte di una spesa effettiva di 6,2 miliardi, nel 2014, siano stati conseguiti risparmi per 3,1 miliardi. Il 50% esatto, ottimo risultato. Se vero. Peccato che la stessa Relazione sostiene che questi dati siano stati elaborati sulla base di una non meglio precisata “metodologia di calcolo sviluppata congiuntamente con ISTAT” e basata sulla differenza tra i prezzi unitari rilevati sul mercato e quelli ottenuti con le gare accentrate. Una
metodologia, però, che deve presentare qualche falla, perché i Comuni non si sono accorti di tanto risparmio e spesso hanno preferito fare da soli. Tanto da indurre ANAC, nel 2015, ad aprire un’indagine sugli affidamenti in violazione agli obblighi normativi in materia. Dal 2000 ad oggi, il termine Consip appare, infatti, 309 volte nella Gazzetta ufficiale nell’ambito di ben 63 provvedimenti. Il filo conduttore è: Io sono Consip e non avrai altra Consip al di fuori di me. L’indagine ANAC, comunque, si è conclusa senza condanne, anzi magnificando il comportamento virtuoso degli Enti indagati e concludendo che le offerte Consip risultano in molti casi (almeno tutti quelli presi in considerazione nel presente campione) migliorabili dal punto di vista economico a parità di prestazioni. ANAC sottolinea correttamente che le gare Consip, possono determinare, comunque, un utile benchmark per gli Enti.

Resta, dunque un mistero appurare come e se sia giunti ad un risparmio complessivo del 50%. Si potrebbe dedurre che tutto dipenda dal vizietto di Consip, che a volte, per definire gli importi unitari posti a base di gara, moltiplica per due il valore aggiudicato in quelle precedenti, imponendo cospicui ribassi ad alto impatto mediatico. Ma allora non si capisce il ruolo di ISTAT. Sul fronte dei Comuni, poi, non ci si cura nemmeno di presentare numeri improbabili. Solo affermazioni apodittiche. La Relazione indica, infatti, la strada delle “aggregazioni e accorpamenti
volti a raggiungere una sufficiente massa critica”. In particolare vengono vantati gli “Incentivi alle fusioni dei piccoli comuni introdotti nel 2014, che hanno finora indotto 120 comuni a fondersi”. Incredibilmente, manca però ogni riferimento non solo all’entità dei risparmi conseguiti, ma anche alla spesa sostenuta per gli incentivi. Eppure, almeno quest’ultima, dovrebbe essere nota perché gli incentivi sono ormai maturati negli anni dal 2014 al 2016. Ancora una volta siamo in presenza di affermazioni ideologiche e di propaganda senza il supporto
di un minimo riscontro nella realtà. ASMEL, da anni mostra tabelle e dati desunti da ISTAT e dalla banca dati SIOPE del Ministero delle finanze, che dimostrano senza ombra di dubbi come gli accorpamenti imposti o subiti, producono costi e non risparmi. Senza riuscire a scalfire le granitiche certezze della politica e degli apparati
romani. C’è voluto un Tribunale per asseverare le nostre tesi. Il TAR LAZIO ha recentemente trasmesso alla Consulta gli atti del ricorso presentato per veder affermata l’incostituzionalità delle norme sull’accorpamento coatto dei piccoli Comuni. Il Tribunale ha ritenuto non manifestamente infondate le 11 lesioni ai principi costituzionali da noi denunciati. In primis, il principio della ragionevolezza delle leggi. Quella da noi contestata, aveva infatti a titolo la “spending rewiev”.
Invece, ha prodotto finora solo maggiori costi. Tra l’altro, per confutare le tesi di Gutgeld, basta esporre i dati sul Comune di Caggiano, che con 2803 anime in provincia di Salerno, spende complessivamente in un anno 612 euro ad abitante, il
48% in meno dei 1167 euro pro capite spesi a Napoli, dove la “massa critica” è indiscutibile. Ma offre servizi decisamente migliori. Sfiora il 70% con la raccolta differenziata, a fronte del misero 30% di Napoli, spendendo il 74% in meno, 63 euro per cittadino, contro i 240 euro spesi a Napoli. Per la mensa scolastica spende 0,7
euro ad abitante, il 97% in meno dei quasi 18 euro spesi a Napoli. In compenso agli scolari viene offerto cibo “a metro zero”, grazie alla formula del baratto che il Comune offre alle mamme che consegnano il cibo raccolto nel proprio orto. I bambini napoletani debbono accontentarsi invece delle mense industrializzate. Il mese scorso, la refezione è stata sospesa nelle scuole dove l’Asl ha
rivelato la presenza di escrementi nel cibo. Napoli spende, poi, il 51% in più per il personale, mettendo a confronto solo i dipendenti diretti. Conteggiando anche quelli delle municipalizzate napoletane, il costo andrebbe almeno
raddoppiato. Insomma, piccolo è bello. Altro che vantaggi dalla massa critica. I dati su Caggiano non rappresentano un caso isolato. In Italia i Comuni con meno di 100.000 abitanti, in cui vive il 75% degli italiani, sono generalmente virtuosi, tanto che la spesa media pro capite ammonta a quasi 750 euro, meno della metà di quanto si spende in media nei grandi agglomerati urbani. Il che si spiega con il maggior “controllo sociale” esercitato dai cittadini e dimostra l’inconsistenza della tesi sulla massa critica teorizzata da Gutgeld. I Sindaci, rappresentano imprenditori del territorio che amministrano. Occorre puntare alla messa in rete dei Comuni, come si fa per le imprese, valorizzando una cooperazione intercomunale basata sull’efficientamento dei servizi, senza intaccare minimamente le potestà e le funzioni in capo agli amministratori comunali Esattamente la regola seguita da ASMEL in tanti settori, dalla digitalizzazione alla trasparenza, dal risparmio energetico alla formazione ed assistenza. Non ultima la centralizzazione della committenza, avviata quattro anni fa con la Centrale ASMEL Consortile e che oggi rappresenta l’unica realtà di rilievo nazionale, diretta espressione dei Comuni.

Circolare ai soci del 26_6_2017

Il Preidente, Giovanni Caggianio 

Il Segretario Generale, Francesco Pinto

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